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Scegliere la lingua
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Miscellaneous

Prestazione professionale

Prestazione professionale

Per scopare le turiste, in Romagna ci sono i bagnini. Dalle mie parti i
maestri di sci. Come si dice, è un duro lavoro, ma qualcuno deve pur
farlo. Le due categorie, comunque, a studiarle bene, dico da molto ma
MOLTO vicino, presentano svariati aspetti in comune. Tanto per
cominciare, l'abbronzatura. Anche se, per intuibili ragioni climatiche,
solo i bagnini sono abbronzati dappertutto (o quasi dappertutto, se
afferrate l'elegante allusione).  I maestri di sci, invece, esibiscono
un colorito tra il cuoio da sella e la terracotta giusto  sulla faccia e
il collo; tutt'al più, in annate particolarmente calde, c'han sulle
braccia un bel segno della manica tipo muratore. Altrove, son bianchi
mozzarella. Il che, in certi momenti che si vorrebbero intimi, può
scatenare inopinate crisi di ilarità, sicché, ragazze, occhio.
Le affinità si accentuano passando per così dire dall'esterno
all'interno: sia i bagnini sia i maestri di sci fanno prova di una
concezione allegrotta dell'esistenza, nonché di una bella resistenza
alle bevande alcoliche. La specie maestro di sci, però, si divide
ulteriormente in due sottoclassi, quella dei veri e propri maestri di
sci e quella degli insegnanti di snowboard, o surf, o tavola che dir si
voglia. I primi sono, come dire, il modello più casalingo e ruspante,
che trova il suo giusto abbinamento con le fiaccolate, i canti alpini e
la barberassa. Che dopo le fiaccolate e la barbera te la bussino lo
stesso, intendiamoci, è garantito. Ma nel complesso risultano un rigo
più affidabili dei maestri di surf, i selvaggi della categoria, irti di
dreadlocks e accessoriati di braghe larghe e maglioni informi sotto i
quali, tra l'altro, non è possibile valutare appieno la merce contenuta,
cosa assai rischiosa per le possibili acquirenti. Avvertenza: se un
maestro di surf vi parla di hard e di soft, non ringalluzzitevi subito.
Non vi sta proponendo del sesso e nemmanco  la visione di un film porno,
ma parla di tavole, o di stili. Ma non disperate: con la stessa
nonchalance con cui dodici ore prima vi ha buttato giù da un dirupo in
groppa a uno snowboard, con lo stesso aplomb con cui, all'ora
dell'aperitivo,  vi ha infilato la lingua in bocca davanti a cinquanta
sconosciuti, giunti al digestivo vi biascicherà romanticamente
all'orecchio "perché non vieni in camera mia che te lo metto nel culo,
tesoro". Il che presuppone, nella donzella in questione, per lo meno una
bella presenza di spirito o la Nivea sempre a portata di mano.
Beh, l'eroe della nostra storia non è per niente un tipo così. Anche se
maestro di surf, il ragazzo è laureando in ingegneria, ancorché
ambientale, ha lunghi capelli biondi e ricci che NON pettina con i
petardi ed è dotato di due fantastici occhi verde-erba con lunghe ciglia
tipo Bambi. Nonché di un culo a cui manca la solo la parola e di un
pacco di tuttissimo rispetto, che gli gonfia discretamente la cerniera
dei jeans blu-denim. Insomma, un gran bel giocattolino. Che, fra
l'altro, tutte ma proprio tutte le mie amiche si sono già fatte,
raccontandomi le sue doti in lungo e in largo (più in lungo che in
largo, a ben ricordare).
E io chi sono, Babbo Natale?   Sicché, eccomi qui che dopo aver
aspettato con ansia la fine della stagione (durante la quale avrei
dovuto competere con una compilation di inglesine sedicenni, prova
palesemente al di sopra delle mie forze) lo attendo al varco qui a
valle, in un locale noto come riserva della specie. Puntuale come un
orologio, bello come un mattino d'estate, il nostro si materializza
intorno all'una; dopo due ore di gin tonic e una giornata di lavoro sul
gobbo io non sono proprio al mio massimo, ma mi rianimo, sistemo il
push-up e mi gli faccio incontro, inalberando dentatura candida e una
mini da arresto.
Il biondo mi saluta vago, strascicando oltre lo strascicabile la sua
voce bassa e morbida; ancora non è entrato, che già mi appare dotato del
mojito d'ordinanza. Si aggancia languido al bancone, camicia blu aperta
sui pettorali lisci  e moderatamente abbronzati (Caraibi? Lampados? e
chi lo sa) e iniziamo una conversazione quasi interamente sostenuta
dalla sottoscritta: lui sorride, annuisce, e inerpica due dita pigre su
per il mio braccio destro fino ad approdarmi alla spalla e poi dietro
l'orecchio. Sento già ribollirmi la faccia, e non soltanto quella. Lui
giocherella coi miei orecchini e mi si appoggia al fianco, minando
gravemente la mia lucidità mentale quando, nel girarsi verso il bancone
per ordinare una birra (come? Ha già finito il mojito? ) mi struscia il
pacco contro la coscia, e mi respira per un momento contro la gola. Ha
il fiato caldo e dolce di menta, pensa te com'è il sapore.
Mi sorride, il tesoruccio. A me e a quasi tutte le donne presenti, a
essere sincera, perciò il difficile  dovrebbe essere scrostarlo più che
dal bancone dalle rapaci braccia femminili  che si protendono verso di
lui da ogni parte... ma finalmente, svariati drink alcolici pù tardi, si
è fuori. "Facciamo due chiacchiere nella mia macchina?" aristrascica il
nostro, allacciandomi la vita nella romantica atmosfera del parcheggio,
così inebriante col suo  dolce aroma di benzene.
"La sua macchina" si rivela un'infernale spider che starebbe stretta
alla Barbie. Bene, direi. Che qui più si sta stretti e meglio è.  Le sue
dita si incamminano lungo la mia coscia, che si è ulteriormente scoperta
mentre sedevo in auto; le mutande non mi si vedono per un solo motivo,
che  probabilmente, minime come sono, sono scomparse su per la passera.
Lo guardo mentre apre il cassettino, cerca qualcosa,  scarta e si mette
in bocca un gomma da masticare, poi si volta a mezzo dalla mia parte e
sussurra: "Ne vuoi una anche tu... o vuoi assaggiare la mia?"
Deglutisco a vuoto, sentendomi deficiente. Fortuna che la domanda era
retorica. Lui si avvicina al rallentatore, mi poggia l'altra mano sulla
guancia, abbracciandomela,  e mi infila la lingua in bocca, gomma da
masticare inclusa. Mi esplora con tutta calma, riprendendosi e ridandomi
il chewingum, mentre la sua sinistra veleggia dalle parti dove dovrebbe
trovarsi il perizoma, se ancora ci fosse. Lo sento, fradicia come sono
gli rovinerò per sempre la pelle del sedile. Tra l'altro, mica facile
farla venir pulita, 'sta tinta. Le dita del fanciullo da una parte mi
accarezzano teneramente una guancia, e dall'altra mi affondano sempre
più fra le cosce; e sono dita abili, cazzarola, mobili ed eccitanti da
morire. Mi lascia la bocca solo per iniziare pigramente a leccarmela,
dentro e fuori, gli occhioni chiusi e i riccioli biondi che mi sfiorano
la faccia. Poi, quando meno me lo aspetto: Bingo! la sua mano sinistra
ce l'ha fatta ad agganciare il mio perizoma, lo tira e se lo arriccia
fra le dita, sollecitandomi violentemente labbra e clitoride, già
agitati di loro: fa scorrere le dita sotto la stoffa, mi penetra appena,
pizzica, struscia, accarezza, insomma dà fondo a tutto il repertorio, e
senza mai smettere di giocare con la mia bocca. Non so dove ha imparato
questa roba, ma il Cepu son sicura che non c'entra. L'altra mano si
tuffa nello scollo della  maglietta, mi preme il palmo contro un
capezzolo, in un lento moto circolare. Mi gira verso di lui, infila
deciso un ginocchio fra le mie cosce, poi armeggia con la cerniera dei
jeans.
Oggesù, stai a vedere che l'uomo mi vuole scopare qui, coram populo, in
un parcheggio illuminato a giorno e comoda come nel cestello della
lavatrice. Eh no, cicciuzzo, con tutta la fatica che ho fatto per
arrivare fin qui almeno un letto me lo devi! Lo dissuado con mielate
parole (e staccandogli a forza la mano dalla mia passera), inducendolo a
trasferirsi nel mio lindo appartamento di zitella emancipata.
Sul mio divano il nostro si appoggia morbidamente ai cuscini, si
stiracchia e: sbadiglia. Come sarebbe a dire sbadiglia, boia mondo? Se
dieci minuti fa ho dovuto disincagliarlo con le cattive dalle mie grandi
labbra, adesso c'ha sonno, il piccolo? Non si fa così, non si fa! Mi
siedo vicino a lui e mi struscio, mandando la mano destra a pascolare
fra i pochi bottoni ancora allacciati della sua camicia. Ha la pelle
fresca e liscia, come quella di una donna. Sta a vedere che si depila,
il pupo. Non che me ne lamenti, anzi.
Abbasso la testa, e gli infilo il naso nel collo, gli bacio dolcemente
la gola, poi scendo a sbaciucchiargli il torace. Quando inizio a
mordicchiargli i capezzoli, bontà sua, si rianima, mi infila la mano fra
i capelli, dietro la nuca, mi solleva la testa per baciarmi. Era ora.
L'altra mano l'ha parcheggiata sotto il  mio sedere, che tanto è
praticamente tutto scoperto, e prende a passeggiarmi le dita nel solco
fra le natiche, ad accarezzarmi giusto dove tutto è molto più caldo, e
bagnato, tentando ogni apertura, frugando con dolcezza, finché perdo un
filo il controllo e gli mordo un labbro. Forte. Trasale, ma
fortunatamente gradisce,  e ricambia pure, denti e lingua a stuzzicarmi
la bocca e il mento, poi il collo, il capezzolo sinistro che prende a
succhiare, occhi chiusi;  ci gioca con tutta calma, e quando già temo
che la tetta destra inscenerà uno sciopero di protesta, ci poggia sopra
la mano, se la fa sparire nel palmo (sì, è piccola, e allora?) e
ricomincia il giochetto dei cerchi intorno al capezzolo. Sono bagnata
ovunque, roba mia o sua chissene frega, e intanto ho assunto una
posizione da paresi per permettergli di raggiungere con le dita ogni
millimetro fra le mie cosce scivolose. Sa dove toccare, il piccolo, e
ogni volta che ripassa avanti e indietro un'onda calda mi risale la
pancia, fra piacere e solletico. Sto quasi per godere, peccato che sento
anche le prime avvisaglie di un crampo devastante, e se non mi sposto
alla veloce mi dovrà trascinare tutta annodata in pronto soccorso... ma
non è che se me lo scollo di dosso si offende? Manovra diversiva, non
tanto fine ma efficace: mano che gli risale la coscia e gli si ferma sul
pacco, già abbondantemente in tiro, che gli stringo dolcemente fra le
dita, sussurrando: "e se andassimo di sopra?"
Detto fatto: manco il tempo di salire le scale che mi spinge con una
certa decisione giù sul copriletto, e se sta lì a guardarmi in piedi,
con l'occhio verdolino a mezz'asta e un sorrisetto paterno sulle labbra
(un filino gonfie, per via del morso di prima). Mi si sdraia addosso,
quasi un metro e novanta di uomo figo e tutto mio, da farci quello che
voglio: mi dico  la vita è ben  bella, qualche volta.  Soprattutto se
lui ti cerca così subito la bocca, gli occhi chiusi e le mani
dappertutto, e mentre ti bacia ti toglie quel che ti era rimasto
addosso, e  ti tocca, e ti si assesta sopra per farti sentire il cazzo
duro per tutta la sua lunghezza larghezza e spessore, strusciandotelo
sulla coscia nuda come il più consumato degli stripteaseurs.
E poi scende con le labbra, si strizza le tette fra le mani e le prende
in bocca, ci passa la lingua in mezzo e sopra, scende ancora, sento
tutta la scia della sua saliva sulla pancia, si perde un po'
nell'ombelico ma alla fine alla passera ci arriva, eccome se ci arriva,
mi accarezza la piega della coscia con la bocca e la lingua, mi sporgo a
guardare la sua bella testa fra le gambe, che lui mi apre spingendoci
contro la mano aperta. Bacia e lecca e succhia da padreterno, il
piccino, e quando mi infila dentro due dita ho ormai accantonato ogni
mio residuo pregiudizio nei confronti degli ingegneri. Gli accarezzo
debolmente i capelli, impigliandomi nei ricci, mentre lui finalmente mi
scopre il clitoride, lo guarda un attimo come fosse il santissimo e poi
lo prende in bocca, facendomi perdere ogni controllo delle mie funzioni
mentali. Godo, godo un sacco, godo talmente tanto che quasi mi
preoccupo: che mi ha fatto, il benedett'uomo, la macumba?
Ma tutto, purtroppo, ha una fine, e, in preda ad un attacco di
riconoscenza, e lo scosto per andargli sopra. Mi inginocchio a
cavalcioni del suo bacino, gli slaccio i calzoni: meraviglia delle
meraviglie, ha il cazzo ancora in tiro come prima, non come certi ometti
che conosco io, che a leccare la figa si annoiano e gli sviene il
pisello. Mi metto ostentatamente le dita in bocca, me le lecco con calma
e poi comincio ad accarezzarglielo, sempre continuando a fissarlo. Ma
lui gli occhi li chiude, stellina, e allora tanto vale mettersi comoda e
ricambiare il favore. Mi fermo un momento a guardarlo, il suo cazzo, con
le mie dita intorno;  non sarà colossale ma ci si può divertire, e anche
parecchio, direi.
Ci giochicchio un po', in punta di lingua intorno al glande e poi giù
fino in fondo, lo prendo appena in bocca e lo rilascio. Lo sento
irrigidire gli addominali ogni volta che me lo infilo in bocca tutto, e
un indistinto mormorio gli sorge dal fondo della gola, roba del tipo
"mmmhah che brahvammmh--" Ecco, bravo, fammi il tifo, che io sono una che
le lodi la stimolano a dare il meglio di sè. Sicché mi metto d'impegno,
alterno bocca, lingua e dita fradice che ogni tanto gli infilo in bocca,
mi lascio scivolare il suo cazzo contro il palmo e poi lo riprendo, lo
risucchio lentamente, un millimetro alla volta, e poi a tradimento lo
accolgo tutto fino in gola, strappandogli ogni volta via  tutto il fiato
dai polmoni. Il giochetto va avanti a lungo, anche perché ogni volta che
mi accorgo che sta per venire cambio ritmo, o movimento; lui sbuffa e
ride, ma mi lascia fare. I ricci biondi del suo pube sono zuppi di
sudore e di saliva: decido di esagerare, e con le dita gli tento con
cautela l'ingresso posteriore. Lui si irrigidisce appena, non so se è
pudore o sono le unghie lunghe, poi si rilassa; il gioco della mia bocca
e del mio dito si fa ritmico, incalzante. Tengo il suo cazzo in bocca,
lo stuzzico con la lingua senza mai mollarlo. L'ingegnere intanto è
passato dalle parole compiute alle vocali, più o meno aspirate, ma ha la
correttezza di avvisarmi prima di venirmi in bocca: un'operazione
abbastanza lunga, e tutto sommato non poi entusiasmante. Naturalmente,
parlo per me. Lui sembra contento, direi. Per il momento prendo fiato,
scivolo verso il bordo del letto. Lo guardo. Inerte, occhi chiusi. Bene,
mi arrischio a scendere in cucina, speriamo non si offenda se non lo
assisto nel post-orgasmo. Una coca e sei minuti dopo, lui è sempre
immobile e a occhi chiusi, spiaccicato per tutta la sua lunghezza di
traverso sul mio letto. Mi ci raggomitolo a fianco, mi struscio,
gattesca che più non si può, lo solletico piano, elaborando languide
fantasie sul prosieguo della serata. Lo accarezzo. Mi respira
nell'orecchio, con un ritmo inquetantemente regolare. Ohè, ciccio, vabbè
la curva discendente del maschio, ma, per tutti i rapporti Kinsey, non
c'avevi 26 anni, te? Dov'è finita tutta quella frenesia che avevi
addosso mezz'ora fa? Lo pizzico decisamente, e con cattiveria, ottenendo
come unico risultato che si gira a pancia sotto, semitravolgendomi, e
inizia pericolosamente a russare. Poche balle, moretta: il piccolo, al
momento, DORME. E con l'alcol che ha in corpo chissà quando si sveglia,
pure. Se c'abbiam fortuna, domattina per colazione. Ma io lo aspetto al
varco, come no. Intanto, vassapere se a quest'ora faccio ancora in tempo
a vedere Marzullo.

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