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BDSM Bondage Heavy Sex

Villa Ubbidienza

Villa Ubbidienza è un luogo particolare, situato nella campagna cremonese, dove le apprendiste schiave vengono educate al loro ruolo con grande competenza. Mio marito decise che la mia formazione di schiava non era completa e chiese a Master Vito, il proprietario della villa, di potermi "iscrivere" ad un corso giornaliero. Master Vito garantì a Mario, mio marito, che alla sera io non sarei stata più la stessa donna e che sicuramente mi sarei assoggettata a tutti i suoi voleri, in modo incondizionato. La villa non è segnalata, ma con un buon navigatore e qualche punto di riferimento vicino, la raggiungemmo in una giornata piovosa di fine aprile. Suonammo il citofono e una voce dall'accento straniero ci rispose di lasciare la vettura fuori dal cancello. Qualcuno sarebbe venuto a prenderci. La villa era poco visibile dal cancello, ma si intuiva che doveva essere in fondo ad un lungo viale alberato. Dopo pochi minuti vennero ad aprirci due uomini muniti di due grandi ombrelli. Erano entrambi molto eleganti e vestiti completamente di nero: avevano quasi l'aria di due becchini! "Buongiorno signori, potete dirmi i vostri nomi? Io sono George e lui Frank e abbiamo il compito di condurvi da Master Vito. Signora, mi dia il suo ombrello per favore", disse quello che rispondeva al nome di George. Io e mio marito ci presentammo e George mi invitò nuovamente a dargli l'ombrello. "Ma piove troppo, non posso andare senza ombrello. Mi bagnerò tutta!", ribattei io. "E allora, qual è il problema, una schiava non è una principessa!", disse Frank. La sua voce era sinistramente convincente e io gli diedi l'ombrello. George mi prese per il braccio, restando però coperto dall'ombrello. Io sentivo l'acqua scendere copiosamente dai miei capeiili. Fatti pochi passi George si fermò, mi guardo i piedi e disse: "Sonia, si tolga le scarpe. I suoi tacchetti stanno rovinando il prezioso asfalto di Villa Ubbidienza. Su presto, ubbidisca!". Ero piuttosto seccata da questo esordio non proprio felice. I tre uomini si riparavano sotto grandi ombrelli, io mi stavo bagnando come un pulcino e mi veniva anche chiesto di togliermi le scarpe. Inaudito... "Lei Sonia è molto insolente e supponente... se ne pentirà! Le ripeto: via le scarpe. Frank togli le scarpe alla signora. Quando riferirò a Master Vito che questa apprendista non rispetta le regole... saprà lui come piegarla! In definitiva lei Sonia è solo una puttanella baldanzosa", disse George.  Frank si chinò davanti a me, mi sollevò un piede e mi sfilò la scarpa. "Ehi, bastardo, non ti permettere...", dissi io, ma nel frattempo Frank mi aveva forzatamente sollevato l'altro piede e mi aveva sfilato anche l'altra scarpa. Prese entrambe le scarpe e le gettò nel prato che affiancava il viale. I miei piedi ora appoggiavano sull'asfalto (prezioso!?) di Villa Ubbidienza. George non era però soddisfatto dei suoi gesti tracotanti e ordinò a Frank di strapparmi le calze. Lui lo fece subito con le mani e poi, aiutato da un coltellino, le recise sotto al ginocchio. Le calze tagliate rimasero sull'asfalto e noi proseguimmo, sempre sotto la pioggia che intanto era diventata molto fitta. Ormai ero completamente bagnata, sorretta per il braccio dal "buon" George. Davanti ad una gigantesca pozzanghera, io deviai per evitarla, ma George mi fece retrocedere e superare la pozzanghera immergendo i miei piedi. L'acqua era davvero fredda e la cosa non fu affatto piacevole. In più la mia camicetta bianca era completamente bagnata e si intravvedeva il mio reggiseno azzurro. Percorremmo ancora qualche centinaia di metri e George si arrestò ancora. Che vuole ancora questo, pensai. Immediatamente la mia curiosità venne soddisfatta: "Sonia, ora deve togliersi la camicetta, la gonna e quello che rimane delle sue calze. Presto, la mia pazienza sta per finire! Se non lo fa subito, se ne pentirà amaramente". Non avevo scelta, ero annichilita e in più ero conscia che quella giornata doveva servire per la mia "educazione". Mi levai la camicetta, la gonna e subito dopo quello che rimaneva delle mie calze (praticamente la parte superiore, fino al ginocchio). George non era ancora soddisfatto del mio stato e disse: "Ora si tolga il reggiseno e le mutandine". "Eh no, queste proprio no!" , risposi io seccata. Lui non disse nulla e mi ammanettò. Ancora qualche minuto di strada e arrivammo alla scalinata della villa. I due nostri accompagnatori fecero entrare me e Mario in una grande stanza affrescata con grandi e comodi divani di pelle bianca. George, implacabile come era stato fino a quel momento, disse: Lei, Mario può accomodarsi sul divano, questa lurida schiavetta bagnata e con i piedi sudici deve rimanere in piedi. Così sgocciola come un'oliva appena tolta dal vasetto!".  Grande figlio di puttana... mi aveva umiliato abbastanza! Poco dopo si aprì una porta (nel salone le porte erano diverse) e apparve quello che si presentò come Master Vito. Master Vito era un uomo robusto, anche simpatico se vogliamo, ma soprattutto deciso e spavaldo. Master Vito mi tolse le manette, mi fece girare su me stessa diverse volte e poi commentò: "Ottima scelta, signor Mario, è una bella schiavetta. E' forse sua moglie? In questo caso lei potrà assistere alla lezione che stiamo per impartire a questa lurida schiava, che a quanto detto dal mio collaboratore George... (pausa di silenzio).... è una stronza. Ora le insegno io l'educazione e la sottomissione". Poi, rivolgendosi a me, mi apostrofò in modo scortese: "Puttana, denudati!. E fai presto! Per ogni secondo che perdi... tre frustate su quella lurida schiena". Io mi tolsi il reggiseno e poi subito le mutandine. Arrivarono altri tre uomini, che mi presero e mi portarono in un'altra stanza, seguiti dal Master, da mio marito e dai due "gentili maggiordomi". In quella stanza, disadorna e dall'aspetto terrorizzaznte, c'era un tavolo (o presunto tale) di legno alla cui estermità era situata una gogna e dall'altra parte un argano con una corda. In mezzo c'era un supporto di legno, quasi uno sgabello fatto a forma di cassa. Mi stesero sul tavolo, appoggiandomi il sedere al supporto. Il mio corpo era leggermente arcuato verso l'alto, perchè il supporto mi alzava la zona del sedere. La gogna venne aperta: aveva tre buchi, dove vennero posizionati la mia testa e i mie polsi. Venne subito richiusa e bloccata con due lucchetti: così chiusa la mia testa e le mie mani non potevano più muoversi. Poi i miei piedi vennero avvicinati e le mie caviglie vennero legate insieme, con la corda collegata all'argano. "Bene, ora daremo una bella "tirata" alla slave. E' troppo piccola di statura... ah, ah, ah", disse sogghignando Master Vito. Ero nuda davanti a sette uomini, in una posizione decisamente scomoda e imbarazzante, con la figa in evidenza proiettata verso l'alto. Ai due capi del tavolo si posero due dei tre uomini che mi avevano portato lì: praticamente erano gli operai di Master Vito! "Vai con la corda", disse Master Vito e l'uomo addetto all'argano cominciò a girare una grande ruota collegata al rullo dove era posizionata la corda. Più girava quella ruota, più la corda si riavvolgeva e più i miei piedi venivano tirati verso l'argano. "Ahi, mi fate male", dissi io con voce decisa. La corda tirava i miei piedi verso l'argano, ma la mia testa e i miei posli erano bloccati dalla giogna. L'uomo dell'argano girava lentamente la ruota e il mio corpo si allungava... le mie mani e la mia testa erano ormai al limite della gogna e le mie gambe venivano allungate in una posizione molto dolorosa. Il mio corpo era arcuato e teso al tempo stesso come una corda di violino. Il dolore era fortissimo e io supplicai, questa volta con voce tremula, Master Vito: "Non ce la faccio più, mi fa malissimo questa corda. Sto provando un dolore tremendo". Poi mi misi a piangere. Master Vito, che probabilmente era anche un uomo buono, disse al suo operaio di smettere di riavvolgere la corda... anzi di svolgerla un po' per permettermi una posizione più comoda... Poi però, pensando forse di essere stato troppo magnanimo, invitò l'uomo dell'argano a ricominciare a riavvolgere la corda con colpi decisi, che si ripercuotevano sul mio povero corpo provato e dolorante. Era la tipica punizione che si usava durante l'Inquisizione. Riaprirono la gogna e liberarorono la mia testa e le mie mani e i miei piedi furono slegati. Mi misero in piedi, ma facevo fatica a restarci. Quasi svenivo per il dolore che avevo provato. Mi condussero poi sotto ad una corda con gancio fissata ad un verricello attaccato al soffitto. Mi alzarono le braccia, le legarono al gancio e iniizarono a sollevarmi. Il mio corpo "pendeva" dall'alto, ma, fino a quando i miei piedi poterono toccare il pavimento, il dolore non era tanto. Quando però i miei piedi persero il contatto con il pavimento, tutto il peso del corpo si riversò sulle mie braccia. Tutti gli uomini presenti (tranne mio marito) si divertivano a farmi penzolare e si "palleggiavano" il mio corpo, facendomi dondolare in tutti i modi. Poi iniziarono a frustarmi, davanti sul seno, sulla pancia e sulla figa e dietro sulla schiena e sul culo. In poco tempo diventai rossa per le frustate ricevute e in qualche caso affiorò dalla pelle lesa anche il sangue. Il dolore era veramente tanto. L'unica cosa che mi era permessa era... piangere. E il mio pianto e la mia disperazione erano gioia per quegli uomini senza cuore. Mi riportarono a terra, mi slegarono e poco dopo mi venne chiesto di fare pipì in un grosso recipiente metallico: io provai ad accovacciarmi sopra al recipiente, ma riuscii a fare solo qualche goccia di pipì. “Non ti preoccupare se non riesci a pisciare. la tua sete sarà soddisfatta dai miei amici. Loro pisceranno per te e tu potrai bere la loro calda urina”, disse Master Vito. A queste parole i tre amici tirarono fuori i loro uccelli e si avvicendarono davanti al recipiente, colmandolo fino all’orlo di urina calda e schifosa. “Ora Sonia inginocchiati davanti a me e ringrazia per il trattamento particolare che ti abbiamo riservato. Non capita tutti i giorni ad una donna il privilegio di bere piscia appena fatta! Quando avrai finito la tua bevuta, dovrai dire – grazie Padrone, mi sono dissetata –“. Mi misi in ginocchio e portai il recipiente alle labbra. L’urina aveva un odore schifoso e poi era veramente calda! Visto che non mi accingevo a berla, due uomini mi aiutarono nella cosa, schiaffeggiandomi il viso a turno. Bevvi tutto e mi venne un senso di vomito. Poi dissi: “Grazie Padrone, mi sono dissetata”. A quel punto mi sollevarono e mi misero su un altro tavolo di legno grezzo, che aveva anch’esso una gogna ad una estremità. La mia testa e i miei polsi vennero bloccati dalla gogna, mentre le mie gambe vennero divaricate e alzate in modo innaturale. Mi allargarono tanto le gambe, che avevo la sensazione che volessero spaccarmele. La mia figa non potè altro che mostrarsi in tutta la sua nudità. Mi legarono le gambe in alto, a ganci che pendevano dal soffitto. Mi bendarono per non farmi vedere a quale sofferenza sarei stata sottoposta. Poco dopo sentii un grosso oggetto (un bastone, credo) che entrava nella mia figa, dilatandola a dismisura. Mi fece molto male e gridai il mio dolore, ma nessuno venne in mio aiuto. Capii poi dal rumore che il bastone era collegato ad una macchina che ritmicamente lo faceva penetrare ed uscire dalla mia figa. Era giusta la profondità dell’innesto, ma i problemi derivavano dalla sezione smisurata del bastone, smisurata anche per una come me che non ha la figa stretta. Quando smisero con quell’attrezzo, il mio corpo, arrossato e anche sanguinante per le frustate ricevute prima, venne coperto dalla cera calda. La cera mi ricoprì le tette, la pancia e la figa, penetrando anche nel buco semiaperto. Non potevo però chiudere le gambe e dovetti subire anche quell’ennesima tortura. Mi sbendarono e io vidi che nella stanza erano entrati altri quattro uomini: davanti a me c’erano Master Vito, George, Frank, mio marito e altri sette “operai”. Ben undici uomini per una donna sola! Mi slegarono le gambe e io potei  rilassarmi, riportandole in una posizione naturale. George, osservando le piante sporche dei miei piedi, disse rivolto al Master: “Signore, mi permetta di  farle osservare che questa lurida cagna ha i piedi sporchi al suo cospetto. E’ inaudito… è una grave mancanza di rispetto verso di lei”. E come potevo avere i  piedi puliti, dopo che avevo dovuto camminare scalza lungo tutto il viale che conduceva alla villa? “Hai ragione, George. Giusta osservazione. Ora tutti voi sputerete sulle piante di questa schifosa schiava e il marito le pulirà con la lingua”, disse ridendo Master Vito. A quelle parole mio marito inorridì e si rifiutò di fare quello che gli era stato richiesto: a lui piaceva molto leccare i miei piedi, ma sono quando erano puliti! Mario fu preso a forza, spogliato di tutti gli indumenti e gli venne messo un collare al collo con relativo guinzaglio. “Ma non potete fare questo”, urlava il poveretto, ma gli uomini che gli stavano sopra non gli dettero scampo e lui fu denudato in poco tempo. Fu poi tirato con il collare davanti ai miei piedi e lì dovette ripulirmeli con la lingua. Ogni tanto si ritraeva, ma mani ferme di quei nerboruti uomini lo convincevano a riprendere il lavoro. Alla fine le mie piante tornarono quasi  pulite e mio marito venne costretto a stare a quattro zampe in un angolo. Io venni pervasa da un senso di rivincita nei suoi confronti, visto che tutto quello che pativo lo dovevo alla sua mente malata che vedeva in me solo una slave e non una moglie da accarezzare e difendere. Io venni ripulita senza tanti complimenti dalla cera e mi fu messo un collare con guinzaglio. Mi fecero mettere a quattro zampe e mi tirarono a "spasso" per tutta la stanza, facendomi fare ripetuti giri. Mi facevano male le ginocchia, ma se mi lamentavo ricevevo bacchettate sulla schiena e sull culo. Mi fecero mangiare da una ciotola una specie di budino, mentre i presenti si divertivano a vedere che un essere umano veniva trattato in quel modo. Poi Master Vito disse: "Carissimi, è inutiile nascondere che Sonia è una gran vacca, un essere spregevole che merita solo punizioni corporali... Ma anche una lurida cagna merita qualche momento di svago ed è per questo che vi voglio invitare a scoparla. Potete scoparla nella figa, ma se vorrete Sonia è anche disposta a darvi il culo. Vi farà tutti i pompini che vorrete, ma in cambio dovrete pur darle qualcosa... Le darete la vostra sborra sul viso e in bocca, così potrà assaporarla". Mi misero un attrezzo metallico in bocca, che mi impediva di chiuderla. Poi iniziò la danza del sesso e la mia figa venne sfondata in mille modi. Dolore e goia, nello stesso tempo, mi pervasero il corpo martoriato dalle precedenti umiliazioni subite. Mi misero alla pecorina e mi sfondarono l'ano, dilantandomi il buco. Ma non erano solo cazzi... anche qualche mano e relativo braccio vennero infilati nel mio culo. Mi aprirono come non mai, senza ritegno e senza pudore. Provai un grande dolore, nell'essere aperta come un frutto maturo. Qualcuno infilò la sua mano anche nella mia povera e slabbrata figa, che, pur bagnatissima ed eccitata, non ne poteva proprio più! Quando il porco di turno aveva finito di scoparmi davanti e dietro, mi metteva in bocca l'uccello, facendomi "assaporare" il gusto della mia figa e del mio culo. Qualcuno mi venne in bocca e io ingoiai il suo caldo sperma. qualcuno mi venne in viso e sui capelli, riducendomi ad una maschera di sborra. Vi confesso che la sborra che ricevetti in viso era tanta, da impedirmi di aprire gli occhi! Non potevo pulirmi, perchè durante le operazioni sopra descritte ero sempre bloccata e trattenuta per le gambe o le braccia da qualche gentile amico. Ricevetti anche qualche sputo in viso e in bocca, ma ormai non facevo più caso a niente. Quando tutto fu finito, Master Vito mi pose gentilmente sul pavimento... mi afferrò per i capelli e usò il mio viso e i mie capelli come straccio per il pavimento. Certo qualche goccia di sborra era caduta sul prezioso pavimento di Villa Ubbidienza e io dovevo pur pulirla. "Abbiamo finito, troia. Sei stata abbastanza brava, hai sopportato bene tutto quello che ti abbiamo fatto, ma pensa che conosciamo altre mille tecniche di sottomissione e tu potresti essere la prescelta in futuro. Ah, ah, ah", disse Master Vito. Ero stesa a terra e per salutarmi i dieci amici mi diedero calci nella pancia e nei fianchi. Qualcuno si tolse le scarpe e le calze e mi obbligò a leccargli i piedi puzzolenti e sudati. Io lo feci senza fiatare... dopo tutto quello che avevo subito non era certo la cosa più sconvolgente del mondo! Master Vito mi infilò nella figa e nel culo un grosso plug a "due posti", affinché i mie buchi rimanessero aperti e in tensione; lo legò con appositi laccetti ai miei fianchi perchè non cadesse durante il tragitto verso casa e mi diede un bacio con la lingua. Mio marito assistette senza parlare alle mie effusioni con Master Vito, del quale forse mi sono innamorata. Mario si rivestì a sua volta. Non mi venne restituita la biancheria intima, mentre mi rimisi la camicetta e la gonna. Non avevo più le calze che erano state distrutte alcune ore prima e dovetti ritornare scalza fino al cancello d'entrata. La pioggia non smetteva di cadere, ma ora avevo l'ombrello per ripararmi. Le mie scarpe erano state buttate nel prato che costeggiava il viale d'ingresso alla villa e io e Mario le ricercammo nel buio più fitto, ma non le trovammo. Ritornai a piedi nudi a casa, ma non me ne importò niente. Ritornare a casa dopo quell'inferno era per me una grande cosa. Una volta entrata in casa, chiesi a Mario: "Quando mi riporti a Villa Ubbidienza?". Lui rimase basito da quella mia domanda... non aveva capito che tutto sommato avevo goduto come una porca! 

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