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Tempi di scuola

Questa volta vi racconto un episodio che mi capitò quando frequentavo la quarta classe all'Istituto Tecnico Commerciale Gino Zappa di Milano. All'epoca ero ritenuta un'alunna modello, fra le più brave della classe e alcune compagne mi guardavano con una punta d'invidia. All'interno della classe, come sempre succede, si formano inevitabilmente i gruppi di amicizia o di studio e anch'io finii in questo disgraziato "meccanismo". Un giorno però Beatrice mi chiamò in disparte e mi invitò nella casa di campagna dei suoi genitori, situata nella provincia di Varese. La cosa mi risultò un po' strana, però l'idea di poter allargare la mia sfera di amicizie all'interno di una classe abbastanza divisa mi allettava non poco. Accettai e Beatrice mi disse che sarebbero venute con noi anche Anna, Simona e Giulia. L'appuntamento venne fissato per il sabato successivo e Beatrice, ripetente e più grande di noi, ci avrebbe portato alla mèta in auto. Tutte noi "invidiavamo" Beatrice che già poteva guidare e in più possedeva anche un'auto tutta sua. Al sabato alle tredici e trenta la campanella suonò e tutte e cinque ci precipitammo verso l'utilitaria di Beatrice, alla volta della casa di campagna. Lì saremmo restate fino alla domenica sera, per trascorrere un tranquillo week-end... di paura! Dopo circa un'ora e mezza o poco più arrivammo, dopo aver percorso una strada sterrata abbastanza lunga, alla casa di campagna situata in mezzo ad un bosco. Ero molto euforica, in quanto i miei genitori mi avevano accordato il permesso di rimanere fuori casa per ben due giorni. Entrammo nella casa che era "povera", ma molto ben tenuta. Ci sedemmo al tavolo e Beatrice ci offrì delle bibite a temperatura ambiente, ma comunque gradevoli. Ero tranquillamente seduta al tavolo quando vidi davanti a me una corda che si stringeva inesorabilmente verso di me: era tenuta in mano da Giulia e Anna, che mi legarono alla sedia, bloccandomi prima le braccia e poi le gambe alla sedia. Io mi misi ad urlare, chiedendo che cosa mi stessero facendo. Beatrice si alzò dalla sedia e venne verso di me, dicendo: "Bellissima Sonia, ti piace tanto fregare i ragazzi alle altre? Attenta, perchè non si può sempre farla franca... Perchè ti sei fatta Maurizio, quando sapevi benissimo che Maurizio è fidanzato con Anna? E perchè hai voluto essere scopata dal bel Paolo, quando sapevi che lui era mio?". Io in effetti non avevo mai avuto rapporti con Maurizio e con Paolo e cercai di spiegarlo a Beatrice: "Non sono mai andata a letto con Maurizio e non sono mai andata a letto con Paolo. Sia ben chiaro per tutte voi. Caso mai è stato Maurizio che mi ha corteggiato... ma non ha avuto alcun riscontro da parte mia. Per quanto riguarda Paolo... non c'è mai stato nulla tra noi", dissi io, visibilmente scocciata. "Non ti crediamo, baldracca da quattro soldi", sentenziò Beatrice. Si avvicinò ancor più a me e, toccandomi i capelli, disse: "Sonia, ma che bei capelli hai! Lunghi, mossi e lucenti... sappiamo che tu tieni moltissimo ai tuoi capelli... Ora ti facciamo una nuova acconciatura, sperando che sia di gradimento al "tuo" Maurizio". Giulia disse: "Propongo di tagliarle la frangetta e i capelli alle spalle, un bel caschetto non dovrebbe stare male a Sonia!". Le altre annuirono con il capo e Giulia diede la prima sforbiciata ai miei capelli. La frangia venne tagliata alla base della cute, poi mi tagliò una lunga ciocca che mi venne mostrata e poi fatta cadere sul pavimento. Giulia passò le forbici ad Anna e anche lei mi tagliò una ciocca di capelli. Si passavano le forbici l'una con l'altra e ognuna di loro dava un'accorciatina ai miei capelli. Io non potevo muovermi e le corde erano veramente strette. In poco tempo il caschetto era finito. Beatrice disse con voce decisa: "Propongo qualche altro centimetro, lasciamole coperte le orecchie, ma tagliamole i capelli all'altezza dei lobi". E via con le forbici. I miei capelli erano sempre più corti e Anna disse, con tono beffardo: "Ora sì che è una gran figa... piacerà senz'altro ai maschi!". Io avevo gli occhi pieni di lacrime, ma non volevo far vedere che stavo piangendo. "E queste sopracciglia... come le stanno male... sarebbe meglio non le avesse!", sentenziò Giulia. Beatrice venne verso di me con un rasoio e cominciò a rasarmi le sopracciglia. Poco dopo ero completamente liscia e loro mi diedero uno specchio per ammirare il loro lavoro. Ero diventata un mostro, con i capelli corti e "smozzicati" e senza sopracciglia. Beatrice disse allora che saremmo andati a fare una bella passeggiata tra i boschi. "Spogliati baldracca", mi disse Beatrice, facendomi vedere la punta di un affilato coltellino. Io mi rifiutai e lei incalzò: "Spogliati, tu nel bosco ci vieni, ma ci vieni nuda e a piedi... noi quattro ci andremo in macchina... con il caldo che fa!". Il coltellino in mano alla ragazza era ormai evidente ed era puntato al mio fianco. Non avevo scelta e iniziai a slacciarmi i cinturini delle scarpe per toglierle. "No, quelle no, le puoi tenere. Ti serviranno per camminare nel bosco. Togli la gonna e la maglietta. Dai, fai presto". Io mi levai la gonna e la maglietta, ma Beatrice non era ancora contenta: "Ora anche il reggiseno, così vediamo perchè Maurizio impazzisce per il tuo seno. Poi ti togli anche le mutandine, così vediamo perchè piace la tua figa a Paolo...". Io mi levai il reggiseno e le mutandine. Ero completamente nuda, ad eccezione delle scarpe che mi sarebbero servite per la “passeggiata” nel bosco. Mi legarono le mani, una accanto all’altra, con una corda e mi portarono fuori, posizionandomi dietro la vettura di Beatrice. Poi l’altro capo della corda venne legato al paraurti della macchina, che doveva “trainarmi”. Le quattro assatanate salirono sulla vettura, una Volkswagen Polo, e si misero in movimento a passo d’uomo. Io fui obbligata a seguire la vettura, che percorse un lungo pezzo di strada sterrata. Dovevo guardare bene il fondo della strada, disseminato di buche, pietrisco e rametti d’albero. La vettura procedeva molto piano e io riuscivo a stare al passo della macchina. Il problema era costituito dalle mie scarpe con il tacco, che anche se non avevano un tacco da dodici, mi facevano prendere storte in gran quantità. Pensai di togliermele, ma poi mi venne in mente che avevano i cinturini e senza slacciarli non sarebbe stato possibile levarle. Alla fine risultarono distrutte, dagli sfregamenti e dai “patimenti” che la lucida pelle aveva subito. Io sudavo sotto il caldo sole, mentre le quattro facevano commenti offensivi nei miei confronti, ridicolizzandomi. Io le sentivo, perché dai finestrini aperti mi pervenivano le loro voci e le loro sghignazzate. Durante il percorso incontrammo due cacciatori, che si voltarono verso di me,  commentando ad alta voce quel particolare “rimorchio”: “Non c’è più religione, ma guarda sta’ esibizionista, che si fa trascinare nuda per dare nell’occhio. Sta’ puttana! Se ti fermi, me la dai? Sei una gran  vacca… e sei pure bona. Una volta le ragazzine erano  pudiche, oggi sono solo delle puttane…”. Ritornammo alla casa e venni slegata dal paraurti. Mi slegarono le mani e mi fecero stendere sul letto matrimoniale dei genitori di Beatrice. Una volta distesa, Beatrice, che doveva essere la capa e l’artefice di tutto, mi ordinò di alzare le braccia e di allargarle e di divaricare le gambe. Io feci quello che mi venne detto e le quattro amiche provvedettero a legarmi al letto: le braccia all’altezza delle mani e dei gomiti, le gambe all’altezza dei piedi e delle ginocchia. Ero completamente immobilizzata e riuscivo solo parzialmente a muovere il bacino. Giulia chiese a Beatrice: “Posso toglierle le scarpe?”. Beatrice rispose affermativamente, dicendo: “Ormai abbiamo visto tutto di lei, abbiamo capito che ha delle tette sode e ben formate, un culetto interessante e una grande figa accogliente, che può piacere ai nostri amici maschi. L’unica parte del corpo di Sonia che non abbiamo ancora visto sono i suoi piedi. Abbiamo anche capito che è una persona senza alcun ritegno, che si presta ad essere “usata” in tutti i modi. Una brava ragazza, di buona famiglia come lei, non si sarebbe mai spogliata per seguire una macchina in un bosco…”. Io replicai che non mi ero spogliata spontaneamente, ma che ero stata costretta da un coltellino nel  fianco!  Mi levarono le scarpe ed iniziarono a farmi il solletico sotto i piedi. Io sopporto tante cose, ma il solletico sotto i piedi mi manda in crisi. Io le supplicavo di smettere, ma più le supplicavo e più loro continuavano a farmelo; capirono che la zona sotto le dita era la più sensibile e continuarono a solleticarmi quella parte del  piede. Io mi agitavo, ma le corde facevano il loro lavoro in modo egregio e il mio corpo aveva poche possibilità di movimento. Poi tutte e quattro sparirono e ritornarono poco dopo con una grossa zucchina tra le mani.  Simona, che fino a quel punto non aveva preso grandi iniziative, mi disse: “Ora, cara troietta da strapazzo, ci fai vedere come prendi i cazzi di Maurizio e Paolo. Ecco, questa zucchina è la copia perfetta dei loro uccelli!”. “Voi siete pazze, non potete deflorarmi con quella zucchina. E’ semplicemente gigantesca”, dissi io. “Ah, ah, tu vorresti forse farci credere di essere vergine? Una come te avrà iniziato a farsi scopare a dodici anni…”, replicò Giulia. La parola “deflorarmi”, forse usata da me in modo errato, aveva fatto credere loro che io fossi  vergine. Chiaramente vergine non ero, ma stretta di figa sì! Senza tanto indugiare saltarono tutte quattro sul letto e iniziarono a spingere la zucchina nella mia figa. All’inizio riuscii ad opporre resistenza, ma alla fine la mia bernarda si dilatò, lasciandosi perforare dalla grossa zucchina. “Io l’ho sempre detto… Sonia è una gran porca… guarda come ti sei fatta penetrare dalla zucchina… hai una figa da primato!”, disse beffardamente Beatrice. Mi slegarono e mi fecero mettere a pecorina per un’ulteriore prova “vegetale”: dovevano infilarmi una carota nel culo. Nell’assumere la nuova posizione, la zucchina scivolò per un pezzo fuori dalla mia figa e le loro mani prontamente la infilarono di nuovo. Poi iniziarono a premere sul mio buco dell’ano con la carota. Provavo dolore e il buco sembrava non volersi aprire. Ma le quattro forsennate premevano con grande forza e il mio buco alla fine cedette con mio grande dolore. “Ora ti facciamo delle foto, che poi daremo a Maurizio e Paolo. La loro cocca sfondata davanti e dietro! Hai la figa sfondata dalla zucchina e il culo spaccato da una carota. Mi fai schifo… sei solo una poveretta… ecco come finiscono le bellocce come te! E poi hai quei capelli tagliati alla “cazzo”! Ma ti mancano anche le sopracciglia… Mi fai pena, povera troia!”, disse farneticando la forte Beatrice. E sì, perché lei doveva sentirsi molto forte dopo questa bravata. Mi aveva umiliato e conciata come non mai nella mia vita. Simona doveva essere lesbica e lo capii dal bacio che mi dette con la lingua: mi accarezzò dolcemente i seni e me li leccò con grande meticolosità. Poi passò a leccarmi la figa e io sussultai dal piacere; me l’aprì con la lingua, “divaricandomi” le labbra e poi leccando all’interno del mio buco. Infilò la lingua dentro la mia figa e la roteò in un modo meraviglioso, donandomi sensazioni estreme di piacere. Una cosa simile poteva venire solo da una lesbica, abituata a fare quei giochi di lingua. Beatrice poi andò al telefono fisso (in quei tempi i cellulari non esistevano) e chiamò qualcuno, di cui non compresi il nome. Poco dopo entrò nella stanza un ragazzo dall’aria alquanto imbranata e dalla sguardo un po’ “ritardato”. Quando mi vide completamente nuda sul letto, fece un salto che non capii se era di gioia o di paura. “Giuseppe tu non hai mai visto una donna nuda. Lei si chiama Sonia ed è venuta apposta per te, Vuole fare “all’amore” con te”, disse Simona. Lui era veramente brutto, tarchiato e aveva un’aria davvero poco rassicurante. Le quattro “amiche” lo invitarono a spogliarsi e lui lo fece senza tanti preamboli. Era completamente peloso, davanti e dietro… un vero orso! Aveva un grosso uccello, ruvido e pieno di vene. Io notai che il suo uccello non ci mise molto ad irrigidirsi, specialmente quando Giuseppe fu invitato ad accarezzarmi. “Lasciami orso”, gridai. Ma lui non capì o fece finta di non capire. “Ma che cosa devo fare?”, disse Giuseppe, con voce roca. “Devi salire sul letto ed appoggiare il tuo pisello qui, sulla fighetta di Sonia”, disse Beatrice. Lui lo fece e appoggiò il suo schifoso pene sulla mia figa. Provai uno schifo indescrivibile. Giuseppe era veramente orrendo. “Ora spingilo dentro a quel buco da troia. Dai spingi forte”, disse Giulia. Lui spinse forte, mentre io cercavo inutilmente e in tutti i modi di divincolarmi dalla stretta morsa delle quattro assatanate. Giuseppe riuscì a penetrarmi e poi riuscì anche a capire quale era il movimento che doveva fare. Mi scopò in poche parole, mi scopò per un buon quarto d’ora. Io lo pregai di non venirmi dentro, ma lui fece tutto il contrario. Sentii il suo sperma irrorare la mia figa. Ora temevo anche di essere rimasta incinta. Che bambino sarebbe nato da quel mostro? Per fortuna non accadde nulla. Poi mi fecero girare a pecorina e Giulia disse a Giuseppe: “Ora devi incularla. Appoggia il tuo uccello al buco del culo di questa giovane ragazza e spingi come più puoi”. Lui eseguì l’ordine e spinse, ma evidentemente non mirava bene il buco dell’ano, perché il suo uccello finì nuovamente nella mia figa. “No, non lì. Glielo devi mettere nel culo. Hai capito?”, disse Anna. Aiutarono Giuseppe a posizionare l’uccelllo e lo invitarono a spingere forte. Lui spinse forte ed entrò con un sol colpo nel mio culo. “Bravo Giuseppe, continua così. Ora esci e rientra di colpo. Bravo… spingi… spingi!”, lo esortò Simona. “Smettila, mi stai rompendo il culo. Smettila, per pietà!”, dissi io, ma lui continuava ad incularmi. Mi fece veramente male e venne nuovamente e copiosamente anche nel mio culo. Probabilmente Giuseppe non era mai venuto dentro una ragazza e la cosa lo eccitò molto. Mentre il suo sperma colava fuori dal mio buco dell’ano, Beatrice fece due o tre fotografie. Le fotografie poi girarono per tutta la classe, sputtanandomi agli occhi di tutti i miei compagni, che mi videro nuda e con due ortaggi infilati nei buchi. Poi tutte le ragazze e Giuseppe si sedettero sul divano, in fila e mi fecero leccare le loro scarpe, in segno di sottomissione. Per fortuna solo sopra, ma la mia lingua non fu affatto contenta di quella situazione. Poi tutte le ragazze si tolsero le scarpe e io dovetti leccare i loro piedi con grande meticolosità. Si fecero leccare tra le dita, sul collo del piede e sulla pianta. I loro piedi non erano dei più freschi, data la temperatura esterna. Ma lo schifo che provai nel leccare i piedi a Giuseppe, non lo potrò scordare mai. Sì, anche i suoi piedi erano orrendi (come tutto il resto del corpo!), callosi e odorosi. Ma io ero la loro serva e una serva non può mai dire di no. Io ero stata punita da quelle quattro cretine (per non dire altro) per cose che non avevo commesso. La settimana successiva a quel sabato rimasi a casa “ammalata”, sperando che almeno le sopracciglia crescessero. Mi feci aggiustare i capelli e dovetti adottare un taglio molto corto, visto che i miei capelli erano stati ormai rovinati dai tagli furibondi delle quattro compagne di classe. L’anno dopo chiesi di essere spostata di corso e passai dalla A alla C. Che esperienza delirante!  

 

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