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BDSM Bondage Heavy Sex

Villa Ubbidienza: per me è una casa!

Mio marito è rimasto molto soddisfatto dalla prima nostra visita a Villa Ubbidienza, a tal punto che ha telefonato a Master Vito e ha richiesto un nuovo appuntamento per darmi una nuova lezione di sottomissione. Al giorno previsto arriviamo puntuali a Villa Ubbidienza. Mio marito parcheggia la macchina fuori dal cancello e poi mi dice con tono perentorio: “Spogliati completamente, tanto sai che a Villa Ubbidienza non puoi entrare vestita. Togliti anche i gioielli, devi essere completamente nuda”. Io ubbidisco, ricordando la passata esperienza nella quale ho raggiunto la villa completamente nuda. Mi tolgo la camicetta, le scarpe, la gonna, le calze, il reggiseno e le mutandine. Poi mi levo anche l’orologio, la collana e due anelli. Consegno tutto a mio marito che ripone la mia roba nel bagagliaio della vettura. Suoniamo il campanello e poco dopo arrivano ad aprire due nostre vecchie conoscenze: George e Frank, vestiti in modo elegante e con un’aria alquanto tenebrosa. George ci saluta e poi si rivolge a me, dicendo: “Complimenti signora, vedo che la lezione dell’altra volta è stata utile. Ha capito che le schiave non possono entrare vestite a Villa Ubbidienza”. Frank mi sposta i capelli da un lato e George mi mette un collare al collo con un lungo guinzaglio: mi fanno mettere a “quattro zampe” e mi tirano lungo il viale che conduce alla villa. Dopo un tratto di strada, supplico George di farmi alzare, perché le mie ginocchia sono molto provate. Lui accetta e mi permette di proseguire la strada in piedi. Quando arriviamo alla villa, Master Vito ci accoglie con grandi feste. A vederlo così non sembra neanche perfido, ma il suo incarico è quello di sottomettere le schiave, usando maniere violente. Master Vito mi fa alzare le braccia e si accorge che ho dei peli sotto le ascelle. Inoltre nota che anche la mia figa è pelosa e mi dice che una schiava deve essere completamente priva di peli. Chiama un suo collaboratore che deve curare la mia depilazione e quest’ultimo mi cosparge le parti pelose di crema depilatoria: poco dopo i miei peli cadono e basta una “passatina” di rasoio per rendermi liscia e vellutata. Anche il buco dell’ano viene depilato e rimane liscio e pulito, pronto per eventuali esercizi anali. Mi conducono in una stanza dove c’è uno strano attrezzo, costituito da due pali metallici affiancati orizzontalmente e da una struttura, anch’essa metallica, che li sostiene. E’ una specie di letto di tortura sul quale viene fatta stendere la schiava. I due pali molto ravvicinati non consentono di stendersi confortevolmente e se una rimane sdraiata per un po’ di tempo finiscono inesorabilmente per segnare la schiena della poveretta. Mi fecero stendere a pancia in su, mi fecero alzare e allargare le braccia e poi mi divaricarono le gambe che vennero alzate e fissate a ganci che pendevano dal soffitto. Mi legarono le mani con robuste corde. Per la testa non esisteva un supporto e dovetti necessariamente reclinarla all’indietro. Poi mi aprirono le grandi labbra della figa e mi misero due mollette a clip (una per ogni parte) che avevano dei  lacci che mi girarono intorno alle gambe. La figa era così costretta a rimanere aperta e in bella vista. Poi mi misero altre due mollette a clip sempre sulle grandi labbra della figa e le collegarono, tramite una cordicella, agli alluci dei miei piedi. Così se avessi mosso le dita dei piedi, automaticamente le grandi labbra della mia figa sarebbero andate in tensione, provocandomi dolore. A questo punto venne verso di me Master Vito con in mano una candela, che accese con un accendino. Me la infilò nella figa e poi tutti se ne andarono, spegnendo la luce. Io rimasi sola con la sola luce della candela. All’inizio la cera che si scioglieva finiva sul pavimento, ma consumandosi la cera calda sgocciolava lungo lo stelo della candela e finiva nella mia figa spalancata. Provai un grande dolore e in più ero terrorizzata dal fatto che la fiamma si avvicinava sempre più alla mia figa. Iniziai ad urlare e riuscii a richiamare l’attenzione di Master Vito e dei suoi uomini appena in tempo. Pochi secondi ancora e la fiamma avrebbe lambito la mia pelle, con conseguenze che non voglio immaginare. Mi slegarono e mi fecero mettere sull’attrezzo a pancia in giù, legandomi mani e piedi alla struttura metallica. La testa era senza appoggio e dovetti reclinarla in avanti. Master Vito disse ad un suo uomo: “Vieni qui e allarga il culo a questa puttanella. Allargale il buco più che puoi, senza pietà. Dobbiamo infilarle lo speculum”. Il collaboratore di Master Vito eseguì l’ordine e mi aprì il buco con forza, dilatandomelo a dismisura. Io gridai per il dolore e lo supplicai di smettere, ma lui sembrava non sentire le mie suppliche. Master Vito prese lo speculum da un mobile e lo infilò nel mio buco senza trovare alcun impedimento e poi iniziò a girare la vite per allargare lo strumento. “Mi fate male, mi state spaccando il culo, basta… vi prego. Non resisto, mi sento il culo sfondato”, dissi io con un filo di voce. Ma quell’uomo continuava imperterrito a girare la vite e lo speculum si allargava inesorabilmente, fino a quando il mio buco non si dilatò più. Era comunque diventato una voragine e all’interno dello speculum venne infilata una candela, che “ballava”, tanto largo era diventato il mio buco dell’ano. Accesero la candela, che era posizionata più verticalmente rispetto all’altra che mi era stata infilata prima nella figa. La cera si scioglieva e colava lungo lo stelo della candela, finendo direttamente dentro il mio orifizio. Ciò mi causava molto dolore, ma se mi lamentavo  ricevevo  puntualmente un sonoro schiaffo sul viso. La candela si consumò e la sua fiamma arrivò a lambire la pelle del mio culetto. Solo allora venne spenta, con mio grande sollievo. Poi entrò nella stanza, accompagnata da due uomini e seguita dal fidanzato, una ragazza molto giovane ed attraente: aveva lunghi capelli biondi e occhi azzurri. Master Vito me la presentò: “Sonia ti presento Jessica. Lei è un’aspirante schiava ed assisterà alle torture a cui ti sottoporremo. Tu dovrai farle capire che una schiava si realizza quando viene sottomessa in modo deciso e anche violento. Dovrai trasmetterle un messaggio importante: solo il dolore fisico può dare soddisfazione ad una vera slave. Tu Sonia hai dato grande dimostrazione di saper subire qualsiasi  umiliazione e di saper accettare il dolore con rassegnazione. E oggi dovrai superare te stessa… non immagini nemmeno che cosa ti aspetta!”. Alzai la testa e salutai Jessica, porgendole il mio benvenuto. Però il fatto di essere torturata ed umiliata davanti ad una ragazza mi poneva un po’ a disagio, forse perché ero abituata a soffrire solo davanti ad uomini, anche giovani, ma pur sempre di sesso maschile. Mi stupii nel veder che Jessica era completamente vestita: camicetta rossa, pantaloni neri e scarpe nere. Ero infatti convinta che le schiave dovessero entrare nude a Villa Ubbidienza, ma a quanto pare questa regola non doveva essere rispettata dalle aspiranti schiave. Mi liberarono dalle corde e mi fecero stendere sul pavimento, legandomi le braccia lungo il corpo. Poi mi misero delle cavigliere in pelle con una corta catenella ed abbassarono un gancio dal soffitto: collegarono la catenella al gancio e mi tirarono su per i piedi. Il mio corpo penzolava, la mia testa era a ottanta centimetri dal pavimento e le mie tette penzolavano anch’esse, in una posizione del tutto innaturale. Mi applicarono ai capezzoli clips con catenelle alle quali erano collegati alcuni pesi. A quel punto le mie tette venivano tirate verso il basso: furono poi attaccati alle catenelle altri pesi che peggiorarono la situazione. Ora le tette mi facevano male e tentai di ribellarmi, dicendo: “Toglietemi i pesi dal seno, mi state facendo male, le mie tette sono tirate allo spasimo!”. A queste parole Master Vito reagì in malo modo e diede ordine a Jessica di frustarmi in tutte le parti del corpo. Consegnò una frusta a Jessica, che iniziò a frustarmi senza convinzione. Jessica non mi frustava in modo deciso e per convincerla a “fare sul serio” ricevette a sua volta alcune frustate. Ma c’era una piccola differenza tra noi: lei era vestita, mentre io ero nuda! Jessica urlò per il dolore… non era ancora abituata a soffrire! Le frustate che ricevette la convinsero a frustarmi con violenza ed ora ero io a gridare per il dolore. La mia schiena si riempì dei segni delle frustate, mentre ad ogni frustata il mio corpo dondolava e le mie tette mi ricordavano, con dolore, della loro esistenza. Poi Jessica, su suggerimento di Master Vito, passò a frustarmi la pancia e anche quella parte del mio corpo venne messa a dura prova. Dopo un buon quarto d’ora di sane frustate, venni liberata da quella incomoda posizione. “Ora Sonia inginocchiati davanti al letto e appoggia la parte superiore del tuo corpo sul letto. Ti sculacceremo, come una troia come te merita”, disse George. Io eseguii l’ordine e George iniziò a sculacciarmi. Non riuscivo a rimanere ferma e oltre ad urlare, agitavo insistentemente il mio corpo. George si rivolse allora a Jessica: “Sali sulla schiena di Sonia e siediti sopra di lei. Bloccale le braccia con le tue mani. Non deve muoversi questa puttana”. Jessica si sedette sopra la mia schiena, impedendomi così di agitarmi. Venni sculacciata da George e da Frank, fino a quando il mio sedere divenne totalmente rosso. Ero imbarazzata, perché mai ero stata alla mercè di una ragazza, che poteva farmi soffrire malgrado la sua tenera età. Poi Master Vito mi ordinò di baciare Jessica, ma lei si ritraeva perché forse non aveva mai baciato una donna. Io afferrai la sua testa e la costrinsi a baciarmi con passione. Ora le nostre lingue giocavano insieme, procurando piacere sia a me che a lei. Frank ci ridicolizzò, dicendo: “Guarda le due lesbiche come sono innamorate! Fate schifo, siete due baldracche… vi pentirete amaramente del vostro comportamento. Ora siete entrambe di nostra proprietà… Proprietà Villa Ubbidienza”. Io al momento non capii… ma purtroppo la spiegazione di quelle parole non tardò a venire! Mi presero in braccio e mi portarono su un grezzo tavolo di legno, dove mi misero supina. Master Vito ordinò a Jessica, consegnandole uno straccio e una bottiglietta di plastica contenente del liquido, di pulirmi le piante dei piedi, che erano molto sporche. Avevo raggiunto la villa a piedi nudi e le mie piante erano veramente nere. Jessica mi pulì le piante in modo perfetto, passando lo straccio anche tra le mie dita. Mi presero nuovamente in braccio e mi portarono su una struttura metallica, in posizione “a quattro zampe”, dove venni legata saldamente tramite cinghie già predisposte. Mi aprirono la bocca e mi infilarono dentro una specie di "pallina" collegata ad un laccio, che mi venne bloccato dietro alla testa. Chiaramente quella "pallina" serviva a non farmi urlare. Anche la mia testa venne bloccata da un apposita struttura, ma potevo però girarla a destra e a sinistra. Master Vito mi disse in modo deciso: “Sonia, tu sei alla tua seconda lezione e ormai appartieni a Villa Ubbidienza. Non potrai frequentare altre scuole rieducatrici, all’infuori di Villa Ubbidienza. So che quello che ti sto per dire ti traumatizzerà, ma le regole sono regole e noi non possiamo aggirarle… Verrai marchiata a fuoco con le lettere V.U., che sono le iniziali di Villa Ubbidienza. Una volta che sarai marchiata, per tutta la vita dovrai tenere questo marchio, che sarà indelebile sulla tua pelle. Soffrirai tantissimo quando il timbro rovente “colpirà” la tua tenera pelle. Abbiamo deciso di marchiarti sotto i piedi”. Frank e George vennero incaricati di bloccarmi i piedi, tenendomi per le dita e per il calcagno. Jessica chiese di uscire, ma non le fu consentito. “Dovrai guardare mentre questa povera disgraziata soffrirà le pene dell’inferno, ma pensa che in fondo è solo una lurida schiava che non merita il minimo rispetto. La sua carne brucerà al contatto con il ferro rovente e speriamo che questa lurida cagna non svenga per il dolore”. Un uomo dal ghigno beffardo arrivò con in mano un lungo tubo in ferro con manico di legno, che mise sulla fiamma del camino. Alla base del tubo c’era un piccolo timbro con riprodotte due piccole lettere intercalate da punti: V.U. Poco dopo la parte finale del tubo divenne rossa e rovente. Io iniziai ad urlare a squarciagola, ma la mie urla veniva soffocate dalla "pallina" che avevo in bocca. Cercavo di agitarmi, di muovere i piedi per evitare quell’oggetto diabolico, ma le cinghie e le mani dei due uomini bloccavano ogni parte del mio corpo. “Verrai marchiata sulle piante dei piedi, nella zona sotto le dita, dove la pelle è leggermente più spessa, così proverai meno dolore, lurida cagna”, disse beffardamente Master Vito. Quando il “primo timbro” si avvicinò alla pianta del mio piede destro, avvertii un grande calore e poco dopo un dolore lancinante: la mia carne era stata incisa dal timbro e la mia pelle stava “bruciando” sotto la pressione di quel tubo maledetto. Jessica venne costretta a guardare, in quanto un uomo le teneva la testa in modo che non potesse evitare quella visione tremenda. Tentò di chiudere gli occhi, ma l’uomo gli strizzò un capezzolo per farla desistere dal chiudere gli occhi. L’uomo con il tubo in mano si assicurò che il “timbro” avesse deturpato il mio povero piede e una leggera fumata lo rassicurò. La mia pelle era ormai irrimediabilmente incisa. Rimise l’attrezzo sul camino e poco dopo ripetè l’operazione sul mio piede sinistro. Io ero completamente sudata e la mia bocca non aveva più saliva; l’uomo penso bene di togliermi la "pallina" dalla bocca e, dopo aver estratto il suo uccello dai pantaloni, mi pisciò direttamente in gola. Jessica chiese pietà per me: “Ma che cosa le fai! Non è un cesso la sua bocca, smettila ti prego”. Venne derisa e io venni liberata dalle cinghie. Non riuscivo però a rimanere in piedi per il dolore che avevo sotto i piedi: mi permisero perciò di rimanere in ginocchio. Poi presero Jessica e la misero sull’attrezzo che avevo lasciato libero io; lei cercò di divincolarsi, ma loro erano in tre e nettamente più forti di lei e la legarono completamente vestita con le cinghie. Le venne messa in bocca la “pallina” e poi Master Vito mi disse: “Vacca, togli le scarpe a Jessica… ora le faremo il lavoro che abbiamo fatto a te”. A quelle parole Jessica scoppiò in pianto, ma io non potevo fare nulla per lei. Con una stretta alla gola e camminando in ginocchio, mi posizionai dietro i piedi di Jessica. Le levai le scarpe e mi apparvero due piedini perfetti e curati, con dita affusolate e unghie laccate di rosso. Le sue piante erano lisce e vellutate, i suoi piedi non avevano tracce di calli e duroni. D’altra parte una ragazza così giovane non poteva che avere piedi belli e perfetti. Era un vero peccato rovinare piedi così belli. Cercai di prendere un po’ di tempo rimanendo dietro i piedi di Jessica in contemplazione, ma George mi buttò a terra, facendomi spostare con un calcio nella pancia. L’uomo del “timbro” mise l’attrezzo nel camino e poco dopo marchiò a fuoco il tallone di Jessica. Una piccola fumata, avvertì l’uomo che la pelle era incisa. Poi anche l’altro piede subì la stessa sorte. Ora tutte e due avevamo il marchio di Villa Ubbidienza: entrambe sulle piante dei piedi, una sotto le dita, l’altra sui talloni. Jessica venne slegata, ma quando cercò di mettersi in piedi svenne per il dolore. Poco dopo rinvenne e Master Vito ci disse che per quel giorno la nostra educazione era finita. Non riuscivamo a camminare e allora due uomini ci caricarono sulle loro spalle, come dei sacchi di patate. Io ero nuda, mentre a lei mancavano solo le scarpe. I nostri visi erano a contatto con i culi di quei due uomini, che percorsero velocemente il viale che conduceva all’uscita della villa. Eravamo seguite da mio marito e dal fidanzato di Jessica, che aveva voluto iniziare la sua donna ad un percorso di sottomissione, dal quale, una volta entrati, non ci si può più sottrarre. L’uomo che mi aveva trasportato chiese a mio marito di aprire il bagagliaio dell’auto e mi scaraventò dentro, come fossi un oggetto, e poi abbassò il cofano, chiudendolo. Non vidi più Jessica e non so dove lei fu “depositata”, ma sicuramente potè tornare a casa viva con il suo ragazzo. Dopo qualche centinaio di metri mio marito arrestò la macchina e mi tirò fuori dal bagagliaio. Mi rivestii e insieme tornammo a casa. Notai sul suo viso una certa soddisfazione per la lezione che mi era stata impartita. A lui non interessava molto del dolore che io provavo: a lui interessava solo avere al fianco una schiava docile e sottomessa come me!

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