Il limite
Scritto da sibilla-pegasus   

L’alto cancello in ferro battuto si apre a scatti dischiudendo alla nostra auto la strada sterrata, contornata da grandi cipressi, che sparisce all’orizzonte ovattato dalla nebbia.

Gli alberi scorrono al nostro passaggio scandendo, come un infallibile metronomo, il mio ineludibile destino.

Le mie mani tradiscono l’emozione del mio cuore che rulla frenetico e con le dita tormento le autoreggenti nere col rischio di smagliarle.

Un senso di sgomento m’assale quando delle luci balenano tra la lanuginosa foschia e con uno scatto nervoso stringo il braccio di Flavio che sorridendo continua a guidare; vorrei urlargli che ho cambiato idea, che lo amo, che ho paura.

Ma solo un fievole sospiro trasale dalle mie labbra sapientemente orlate di rosso.

Il motore dell’auto si sopisce dinanzi a una villa palladiana nel cui centro trionfa una ampia scalinata che accede a un portico sorretto da quattro colonne classiche con capitelli dorici; l’ampia vetrata d’accesso s’apre liberando violenti getti di luce che s’infrangono nel piazzale ghiaioso circondato da alberi, simili, nell’ombra, a grossi titani.

Un uomo di mezz’età, elegante, ci accoglie signorilmente invitandoci ad entrare e il mio evidente imbarazzo non sfugge all’anfitrione che, con molta delicatezza e proferendomi un lusingante complimento, mi prende la mano accompagnandomi dolcemente nell’atrio.

Una grande scala in marmo arabescato rosso, ampio semicerchio, porta ai piani superiori mentre sui lati scorgo due ampi locali illuminati dalla luce tremolante di candelabri: tutta la volta ad archi è affrescata con motivi floreali e mitologici tra i quali colgo il ratto di Europa perpetrato dal lussurioso Zeus.

L’uomo che ci ha accolti, mi sfila la pelliccia mentre Flavio mi sussurra la sua ammirazione per le ampie scollature che il vestito nero di raso mostra e cingendomi la vita mi sospinge  a seguire l’elegante figura che nel frattempo si è avviata verso la sala di sinistra.

Appoggiate su due dei lati di quest’ultima, due massicci mobile a scaffali, di noce scuro, sui quali centinaia di libri allineati si susseguono fino alle volte del soffitto anch’esse affrescate e, tra le due librerie, vicino all’angolo, una massiccia porta intarsiata; sulla parete che dà sul giardino, tre ampie vetrate bifore addobbate da fini tendaggi damascati porpora che impediscono la visione esterna, mentre sulla quarta parete, oltre alla porta d’ingresso, cinque grossi arazzi con scene venatorie, occupano l’ampia parete.

Al centro tre grandi divani di alcantara, verde scuro, posizionati a forma di U sui quali due uomini stanno conversando sommessamente con in mano due ampi baloon contenenti del brandy.

Veniamo presentati ai due uomini,  che nel frattempo si sono educatamente alzati, dal nostro accompagnatore e vengo invitata da Flavio a sedermi sul divano nel mezzo mentre lui e l’anfitrione si seggono sul divano alla mia destra e gli altri due su quello alla mia sinistra.

Nella mia mente baluginano emozioni contrastanti e la vergogna sembra sovrastare tutto tranne le mie gambe che non osano muoversi.

Rimango rigida senza appoggiare la schiena ai soffici cuscini e con le gambe strette, ruotate di tre quarti per cercare di celare le cosce nude tra gli spacchi dell’abito che tende a sollevarsi.

Loro conversano amabilmente come vecchi amici di affari, senza coinvolgermi, se non per offrirmi un brandy che rifiuto.

Cercando di apparire disinvolta, senza nemmeno proferire verbo, e so d’essere la protagonista della serata ma, volutamente trattata come un oggetto in attesa di essere usato e, cosa che scoprirò dopo, un oggetto consapevole e poco consenziente.

Sfruttando la poca attenzione riservatami ne approfitto per scrutare i tre uomini ai quali affibbio i soprannomi di anfitrione, tozzo e atleta : quello che sembra il proprietario della villa è un uomo molto alto, segaligno, con folti capelli bianchi pettinati all’indietro e con un naso aquilino che gli conferisce un aspetto aristocratico; l’altro di fronte a Flavio è tarchiato, sulla trentina e, le sue mani tozze e nodose emanano una sensazione di grande forza. Ha un viso largo diviso da un ampio naso da pugile e tutto nel suo aspetto richiama l’umiltà delle origini. Il terzo ha circa quarant’anni, è molto bello con capelli ed occhi neri, un viso molto regolare a tratti femmineo e un fisico atletico e proporzionato.

Il deus ex machina della riunione è senza dubbio l’anfitrione che detta gli argomenti sui quali discetta coltamente senza che nessuno degli interlocutori osi interromperlo nemmeno quando, facendo lunghe pause, gusta il brandy.

Anche Flavio, risoluto dominatore, subisce il fascino dell’abile oratore; l’atleta, pone domande intelligenti e si esprime forbitamente anche se non mostra una grande cultura mentre il tozzo sembra non interessarsi alla conversazione e sfregandosi le grosse mani, mi osserva le gambe con un sorriso ironico.

La scena , nella quale presto diverrò la protagonista, m’appare come un visione onirica e devo stringermi le dita fino a congestionarle per convincermi che non sto sognando.

Mio marito sta per  materializzare le sue fantasie nei miei confronti ed io, o solo la parte oscura del mio subconscio, lo permette.

Attendo come una vergine sacrificale che uno dei sacerdoti dia l’inizio all’orgia sublimatrice dove sarò immolata alle fantasie maschili.

L’orgoglio, dote che posseggo, s’accoda mesto a quella indescrivibile voglia di sottomissione, un fanciullesco bisogno di essere comandata e usata a dispetto della mia volontà.

Il sesso represso dall’infanzia vissuta in ambienti cattofobici ha creato in me questa indicibile voglia che rimarrà repressa solo per qualche momento, eppure mi ostino e m’illudo a pensare ancora che sono là solo per Flavio.

La coscienza della donna morigerata s’erge tra i flutti del desiderio ma è sempre più stremata e l’abisso l’attende inesorabile.


Vengo risvegliata dal mio sfarfallio mentale dall’atleta che si è alzato mentre gli altri hanno smesso di parlare e si pone dinanzi a me, così vicino che le sue gambe sfiorano le mie ginocchia sempre più serrate.

Fissandomi negli occhi con uno sguardo sardonico, si slaccia la cintura, si sbottona i pantaloni abbassandoli insieme agli slip; il suo membro in stato di semi erezione poggia su grossi testicoli molto scuri che si perdono nella folta peluria del pube e tutto, mi sembra pulsare minaccioso.

Rimango immobile e lui anche, ma ora sorride compiaciuto credendo di avermi impressionato, e in effetti non sono tranquilla.

L’impasse della scena viene interrotto da Flavio che mi chiede seccato cosa sto aspettando ed io lo guardo dapprima supplichevolmente e poi, osservata la sua espressione riprovevole e spinta dalla mano dell’atleta, m’avvicino al membro ed inizio a leccarlo lentamente.

La completa erezione non si fa attendere cosicché debbo spostarmi più avanti per raggiungere il prepuzio che inizio a suggere sempre lentamente.

L’atleta ansima e con le mani mi incita ad aumentare il ritmo ma io, ora protagonista, mantengo il ritmo impostato mentre con una mano gli massaggio lo scroto.

Mio marito sembra impazzito e mi apostrofa con epiteti pesanti mentre l’anfitrione deve ricorrere alla sua autorità per trattenere il tozzo che sembra essere diventato ancora più largo e paonazzo.

Nonostante la lentezza del coito orale sento che l’atleta fatica a trattenere l’orgasmo e allora mi stacco bruscamente schernendolo con un sorriso.

La mia esibizione d’indipendenza altera l’anfitrione che ordina all’atleta di spostarsi e fissandomi con  disprezzo, mi spiega altezzosamente che sono là solo per dare piacere e non per provarne, anche se non mi è precluso, e che l’obbedienza e l’osservanza ai desideri degli ospiti è inappellabile e indiscutibile.

L’enfasi con cui l’anfitrione ha elargito il suo disprezzo nei miei confronti risveglia il mio orgoglio e con uno scatto mi alzo dirigendomi verso l’uscita; solo pochi passi e il tozzo mi raggiunge stringendomi con forza un braccio, interrompendo la mia fuga. Cerco di richiamare l’attenzione di Flavio che invece, tranquillo, continua a gustare il brandy.

L’anfitrione si alza e con un cenno ordina al tozzo di lasciarmi e, riprendendo il tono gentile che aveva usato accogliendoci, mi invita a seguirlo. Penso fiera che la mia dimostrazione di forza abbia placato la sua arroganza e così lo seguo verso la porta tra le due librerie.

Varchiamo la soglia entrando in un locale in forte penombra dove intravedo strane forme e sento un leggero tintinnio metallico.

La porta si richiude pesantemente dietro di me e, senza voltarmi, dai respiri affannosi, capisco che anche Flavio, tozzo e l’atleta ci hanno seguiti nella stanza.

La sensazione di trappola, sgradevole e svilente per la mia falsa sensazione trionfale di poco prima, lascia presto spazio all’incredulità non appena l’anfitrione, sparito nell’oscurità, accende delle candele.

Scorgo al centro della stanza una figura umana in una postura improbabile, come sollevata da terra, ma non riesco a distinguere i particolari a causa della scarsa luce; l’anfitrione, mentre accende un altro candelabro, con voce calma e metallica mi rispiega le finalità per cui sono lì, rimarcando che non posso scegliere.

Le sue parole poco prima mi avrebbero imbestialito ma la visione, ora chiara seppure tremolante, mi toglie il fiato: quella figura che avevo intravisto è una giovane donna appesa con  quattro sottili catene che gli cingono i polsi e le caviglie.

Quest’ultime sono regolate in modo tale da costringere la poveretta a tenere le gambe allargate con il sesso e l’ano oscenamente mostrati e penetrati da due falli di gomma rossi fissati con cordicelle alle cosce.

E’ completamente nuda e sembra svenuta.

L’anfitrione sempre con una voce impersonale mi spiega che quella è la moglie dell’atleta che non ha voluto collaborare ed è stata punita.

Mentre cerco di focalizzare anche gli altri oggetti nella stanza, il tozzo e l’atleta, azionando dei verricelli, fanno scendere lentamente la donna su un tappeto persiano con forti tinte amaranto; lei si affloscia gemendo e l’atleta con gesti amorevoli e sussurrandogli qualcosa, la libera dai polsini che la imprigionano.

Poi, sempre delicatamente gli sfila i due vibratori e la bacia sulle labbra.

Fisso Flavio con ira dissimulando la paura che mi ha pervaso e lui evita il mio sguardo attendendo gli ordini dell’anfitrione.

Mi volto con uno scatto e ruoto la maniglia dorata della porta che non s’apre e nemmeno riesco a rigirarmi che mi sento afferrata alle braccia e trascinata nel centro della stanza, dove con forza vengo sdraiata su un lettino simile a quelli usati dai ginecologi con due staffe soprastanti dove mi vengono legate le cosce; anche i polsi vengono fissati alla struttura e l’unica cosa che posso fare è quella di gridare il mio disprezzo per loro.

La paura, incredibilmente, ha lasciato il posto alla combattività e con scossoni violenti cerco di liberarmi urlando anche parole poco educate all’indirizzo degli uomini e specialmente di Flavio.

Loro silenziosi, in cerchio di fronte alle mie gambe alzate e allargate e al mio sesso appena velato, mi guardano divertiti.

La donna accanto a me, forse risvegliata dai miei urli, si è messa in ginocchio abbracciando con forza la gamba del marito.

L’anfitrione le si avvicina sussurrandogli qualcosa e lei, titubante, si alza, si posiziona in ginocchio tra le mie cosce spostando con delicatezza lo slip e

inizia a suggermi la figa.

Mi contraggo effettuando i pochi movimenti che le cinghie mi permettono  ma la lingua della donna inizia a provocarmi dei singulti di piacere.

Cerco di resistere offendendo la donna, ma la mia convinzione appare sempre più forzata.

Lei intanto, sapientemente mi sugge il clitoride provocandomi sussulti di piacere e la sua lingua passa velocemente dalla vulva all’ano con sapiente perizia. Ora il mio piacere traspare da ogni muscolo e con gli occhi chiusi voglio solo raggiungere l’orgasmo.

Il lettino su cui giaccio è lungo poco meno del mio tronco cosicché la mia testa e il bacino sono esterni ad esso.

L’atleta, mentre sussulto per il piacere, avvicina al mio viso il membro eretto e, ruotandomi con forza il viso, me lo spinge in bocca; alla mia sinistra Flavio mi tamburella il suo cazzo sulla guancia continuando ad offendermi con solerzia; la donna continua il suo lavoro ormai invasa dai miei umori vaginali e l’anfitrione guarda compiaciuto il tutto.

Resiste poco, sposta la donna, mi strappa gli slip e mi penetra con forza tenendosi alle mie cosce. La donna intanto, eccitata dalla mia performance, si dedica a Flavio mentre l’atleta con bestiali singulti mi rovescia il suo seme in bocca e sul viso.

Il tozzo che fine ha fatto? Eccolo che appare nudo e tragico; il suo fallo  è lungo ma l’immenso diametro lo fa sembrare corto.

L’anfitrione si sposta ridacchiando mentre tutti gli altri attori si fermano fissando quel mostro avvicinarsi.

Gli sistemano dei cuscini sotto i piedi a causa della statura e lui penetra la mia figa che nonostante sia molto umida fatica ad accoglierlo; mi scopa per circa un minuto come studiandomi, sorridendo sinistramente, e d’improvviso estrae il cazzo dalla figa e inizia a puntarlo al mio ano. Con le poche forze rimastemi cerco di spostarmi ma Flavio e l’atleta mi schiacciano i fianchi.

Non riesco nemmeno a urlare perché sono ancora invasa dallo sperma dell’atleta e il tozzo continua a spingere. La penetrazione risulta difficoltosa e la donna, su ordine dell’anfitrione, umetta con la lingua l’ano e il cazzo per permettere la sodomizzazione e così facendo il tozzo, dopo una secca spinta e un urlo soffocato, lacera l’ano iniziando dapprima lentamente e poi con sadico ritmo ad incularmi fino in fondo.


Da quel momento tutto è una grossa baraonda di sessi che si confrontano, senza nessuna cerebralità e solo istintività: i maschi hanno la possibilità di trattarci come orinatoi, di seviziarci con schiaffi e pizzicotti, di riempirci tutti gli orifizi con il loro sperma, di offenderci verbalmente, insomma di trattarci come oggetti.

Tutte la forza che la madre terra infonde alle donne e che terrorizza l’altra metà del cielo, viene esorcizzata e tutto l’immaginabile viene materializzato.

Gli uomini danzano frenetici spostandoci, posizionandoci, occludendoci, offrendoci le loro terga per essere baciati in un estremo gesto di sopraffazione.

Noi due, le vittime, senza mai parlarci, abbiamo stretto un tacito sodalizio consolidato dal lampo indomito che talvolta attraversa i miei occhi e che rassicura la mia debole compagna di stupro.

E l’ora arriva quando le lunghe candele sono ormai dei mozziconi come i falli dei nostri dominatori che paiono ora delle scimmie sfinite. Giacciamo tra di loro, fieramente attente e ora uniche dominatrici.

Mi alzo e porgo il mio aiuto alla donna che s’alza anch’essa; nonostante il bruciore agli occhi e il dolore anale, riusciamo ad aprire la porta mentre nella penombra un uomo tenta d’alzarsi. Leste chiudiamo la pesante porta dietro noi e velocemente rovesciamo pesanti volumi dagli scaffali vicini che ostruiscono l’apertura della stessa.

I nostri ometti si sono svegliati e scuotono la porta con urla poco affabili e noi per rafforzare la diga cartacea, avviciniamo alle pile i tre divani d’alcantara.

Ci guardiamo, scoppiamo a ridere, ci abbracciamo saltellando nude e sporche come siamo, mentre gli orango ululano minacce tremende nei nostri confronti.

Mi guardo intorno rimuginando qualcosa e all’improvviso prendo un portacenere d’alabastro su un tavolino e mi scaglio sull’arazzo centrale, quello più grosso, lacerandolo con frenetici colpi. La mia compagna superata la sorpresa aggredisce una vetrina fracassandola con un grosso tomo e ridendo sinistramente.

La nostra opera devastatrice, dopo la frenesia iniziale, assume una cadenza metodica e tutte le suppellettili alla nostra portata vengono oltraggiate.

Le urla dei padroni sono cessate tranne quella dell’anfitrione che, probabilmente, è il tristissimo e furioso proprietario della villa.

Esaurita la nostra rivalsa nella stanza accanto, trovo le chiavi dell’auto che Flavio, sbadato, ha lasciato sulla libreria e coprendoci con i tendaggi strappati, raggiungiamo la macchina ridendo come delle liceali.

Parto schizzando ghiaia sulle vetrate e imbocco il viale facendo urlare il sei cilindri e poco dopo siamo al cancello, imponente, immanente e chiuso! L'euforia svanisce mentre il retrovisore dell’auto riflette  luci che rischiarano l’abitacolo;ci voltiamo e in fondo al viale, minacciosa, scorgiamo un’auto che sta giungendo velocemente.

Sono loro!

Ed ora?

 

Commenti SC

antonysgx2012-10-03 12:32#3
il racconto è scritto bene ed è coinvolgente, ma il comportamento del marito è davvero riprorevole!!! Noi giochiamo sempre e solo insieme, il pensiero che lui possa permettere una cosa simile mi fa gelare il sangue nelle vene. Questo non è amore!
MarleneMax2012-09-27 13:37#2
Molto bello il contrasto tra le parole ricercate e la brutalità della scena.
Lo scrittore è Pegasus?
Marlene
appassionati2012-09-25 19:10#1
noente male....vediamo come va a finire! ;-)
 
SexyCommunity annunci erotici gratuiti tutti i diritti sono riservati senza autorizzazione scritta è espressamente vietato copiare o divulgare foto e testi presenti nel sito .il materiale inviato a SexyCommunity è di proprietà di chi lo invia che puo in ogni momento chiederne la cancellazione contattando lo staff di Sc.SexyCommunity non è responsabile del materiale inviato dagli utenti ma può insindacabilmente cancellarlo se questo violi in qualsiasi modo la vigente normativa

© 2023 SexyCommunity ™ - TradeMark - Marchio Registrato