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Il gioiello nascosto

Vacanze di Natale di parecchi anni fa a Vercelli. Io e una mia amica passeggiavamo per le vie luccicanti della città piemontese, ammirando le vetrine sfavillanti di un'Italia che allora non conosceva la profonda crisi di oggi. Ad un certo punto Maria, la mia amica, volle entrare in una gioielleria per chiedere le caratteristiche di un bellissimo orologio esposto in vetrina. Suonammo il campanello e un distinto signore ci aprì la porta. Maria fece domande sull'orologio che le interessava e successivamente lo acquistò con carta di credito. Il proprietario ci chiese se volevamo calendari dell'anno che si preparava a nascere dopo pochi giorni e noi dicemmo di sì.  Andò nel retrobottega a prendere i calendari. Io vidi un bellissimo anello con una grossa pietra sfavillante "abbandonato" sul banco di vendita. Non riuscii a desistere dal prenderlo e, senza pensarci troppo, lo presi e me lo nascosi in un posto che ritenevo... il più sicuro della Terra! Maria vide quella mia repentina mossa e mi disse: "Ma sei pazza? Hai rubato l'anello?". Io risposi di sì a bassissima voce e lei si avviò verso la porta di uscita. Riuscì ad uscire, ma in quel momento il gioielliere tornò in negozio, attirato dal rumore della porta. Io tentai di fuggire, ma lui bloccò la porta, in quanto si era accorto della sparizione dell'anello. "Signorina, dove è finito l'anello?", mi disse. Io divenni rossa in volto e balbettai: "Di quale anello parla? Non capisco...". Lui ribattè in modo secco che l'anello era fino a pochi secondi sul bancone e che ora era misteriosamente sparito. "Dove è andata la sua amica? Come si chiama lei? Sicuramente è lei che ha rubato quel prezioso gioiello", incalzava l'uomo. Poi disse che avrebbe chiamato i Carabinieri e che loro sicuramente sarebbero stati in grado di farmi parlare. "No, la prego, non chiami i Carabinieri... Io sono una persona onesta... Come può pensare che io o la mia amica..." e qui la voce non mi usciva più, strozzata da un nodo che mi attanagliava la gola. "Ok, fanciulla, voglio crederti. Non chiamo le Forze dell'Ordine... chiamo i miei cugini che ti faranno una bella ispezione intima! Loro sanno come fare", disse il proprietario dellla gioielleria. Andò verso il telefono e dopo poco tornò, dicendomi che era tutto a posto. Passarono quindici minuti, eterni per me, rifugiata in un cantuccio del negozio. Quando suonarono alla porta mi si raggelò il sangue. Il gioielliere aprì ed entrarono nel negozio tre robusti omacci di mezza età. "Questa sgualdrina, o la sua lurida amica, ha rubato un anello. Pensate voi a lei e recuperatemi il gioiello, con qualsiasi mezzo, tanto la puttanella non si ribellerà... almeno che non voglia avere a che fare con i Carabnieri di questa bella città", disse ridendo il gioielliere. "Francesco, non ti preoccupare, la portiamo nel nostro casale in campagna e lì la faremo parlare... con qualsiasi mezzo... costi, quel che costi... E poi sarà un piacere per noi ispezionare una così bella ragazza!", disse il più vecchio dei tre. Mi bendarono e mi legarono le mani con una robusta corda, che mi procurava dolore ai polsi. Uno di loro mi caricò sulle sue spalle ed uscì dalla porta di servizio. Mi depose con poca grazia nel bagagliaio di una vettura, che mi sembrava di aver capito essere una station wagon. La benda sugli occhi, molto stretta, mi impediva di vedere. Dopo un breve viaggio, arrivammo a destinazione: si aprirono le porte dell'auto, un uomo mi tirò fuori dalla vettura e mi portò all'interno di quella che presumo fosse una casa di campagna. Lì ci aspettavano altri uomini, ma la benda sugli occhi mi impediva di capire quanti fossero. Un uomo mi disse: "Ora ci divertiamo un po' con te... faremo una bella caccia al tesoro e vedremo se alla fine riusciremo a trovare l'anello scomparso. Poverina, non sai quello che ti aspetta. Sei uomini contro una sola donna... ah, ah, ah, ah". Io ero terrorizzata da quelle parole decise e beffarde, ma il peggio doveva ancora venire. Uno di loro mi si avvicinò e, alitandomi in volto, sghignazzando disse: "Troia, togliti quelle belle scarpe da ginnastica... magari hai nascosto lì l'anello che cerchiamo". Mi slegarono le mani, mi levarono il giubbotto e io mi tolsi le scarpe. Subito dopo ricevetti l'ordine di togliermi anche i calzini: consegnai le scarpe e le calze all'uomo che mi aveva impartito l'ordine e rimasi a piedi nudi. Il pavimento era grezzo, forse di cemento, e molto freddo: un brivido mi attraversò la schiena. Capii che l'uomo esaminò le scarpe e le calze al loro interno, non trovando però nulla di quello che cercava. Mi tolsero la benda dagli occhi e io potei avere un quadro chiaro della situazione: gli uomini erano in tutto sei, tre più giovani e tre di mezza età. Si avvicinò a me un ragazzone e mi apostrofò in modo insolente: "Cagna, lurida cagna, dimmi dove hai nascosto il gioiello. Altrimenti i tuoi jeans di marca diventeranno degli splendidi hot pants!". Fui sottoposta ad un estenuante interrogatorio, dove mi si chiedeva ripetutamente dove avessi nascosto l'anello; era chiaro che loro erano giustamente convinti che l'anello l'avessi rubato io e ogni volta che non rispondevo alle loro pressanti domande, loro mi tagliavano un pezzo dei  jeans. In poco tempo i miei jeans vennero fatti a pezzi e le mie gambe rimasero nude; ormai solo la parte superiore dei miei calzoni era rimasta al suo posto e alcuni dei sei si complimentarono con me per le mie belle gambe. Uno dei miei aguzzini, il più vecchio, si avvicinò a me e con modi bruschi mi strappò di dosso il maglione, riducendolo ad uno straccio per pavimenti . Poi fu la volta della mia camicetta, alla quale fecero "saltare" tutti i bottoni, che schizzarono per la stanza. Ero rimasta con il reggiseno e gli improvvisati hot pants. "Togliti quel brandello di calzoni... non vedi che fai schifo, puttana! Come sei ridotta... dove e è andata la tua tracotanza, lurida cagna!", fu una delle frasi più carine che mi vennero rivolte. Mi tolsi quello che era rimasto dei miei poveri jeans, poi mi slacciarono il reggiseno e mi sfilarono le mutandine. Ora ero completamente nuda e tremante per il freddo e la paura davanti ai sei uomini. MI stesero su un tavolaccio di legno ruvido e mi fecero nuovamente la solita domanda: "Dove hai messo l'anello?". Io non risposi e loro mi fecero aprire la bocca. Mi fecero tirare fuori la lingua e l'afferrarono con due dita, spostandomela in tutti i punti possibili; era però chiaro che l'anello non potevo averlo in bocca, altrimentii avrei faticato a parlare. Poi a turno mi sputarono in bocca, in segno di disprezzo e io dovetti ingoiare la loro schifosa saliva. Ricevetti molti schiaffoni in viso e alla fine mi sentivo rintronata, come se avessi avuto lì vicino delle campane che suonavano a festa. "Ok, vi dirò dove ho nascosto l'anello. L'ho messo davanti...", dissi io, piangendo per l'umiliazione e il dolore. A quelle mie parole tre uomini mi afferrarono e mi girarono a pancia in giù. "Aprile le natiche, che io cerco il gioiello", disse uno all'altro. "No, l'ho messo davanti... lasciatemi stare... non è lì che dovete cercarlo", replicai io. Loro però fecero finta di non sentire quello che io continuavo a dire e mi aprirono il culo. Iniziarono ad infilare le loro dita dentro il mio buco, me lo dilatarono a dismisura, facendomi un male terribile. Ma ormai il mio culo era violato e all'appello mancava solo un grosso bastone, che mi fu infilato poco dopo, producendomi un dolore lancinante. Loro si divertivano a infilarlo e sfilarlo nel mio povero culo e io soffrii le pene dell'inferno. "Puttana, devi soffrire... sei solo una schifosa ladra e prega di non essere messa in galera. Meglio avere il culo rotto, che rimanere a marcire in galera! Ah, ah, ah, ah", disse uno dei sei energumeni. Era chiaro che avevano capito che l'anello era nella mia figa, ma volevano divertirsi a rompermi il culo. Venni poi sodomizzata da tutti e sei, che con i loro grossi attributi finirono l'opera di sfinimento del mio ano, che alla fine risultò con un buco dai contorni alquanto slabbrati. A quel punto mi girarono a pancia in su e mi misero delle tenaci mollette alle grandi labbra della figa. Poi le tirarono verso l'esterno e le labbra seguirono il movimento delle mollette, allargandomi il buco della patatina e mettendo in evidenza l'interno della mia figa. "Ma che bella figa rosa hai, puttana" fu il complimento migliore che ricevetti. Non vi dico i commenti volgari che mi umiliarono in quei momenti. Le mollette si staccarono dalle labbra ormai tirate allo spasimo, producendomi dolore, e io sentii che la mia figa si richiuse velocemente. Ma gli uomini non avevano finito di divertirsi con me. Le loro dita frugavano dentro la mia figa e uno di loro estrasse finalmente l'agognato anello. Era tutto bagnato, perchè ormai io stavo godendo del trattamento subito. "Leccalo, lurida vacca, leccalo e puliscilo con la lingua", disse uno. Io ubbidii e leccai l'anello dal mio umore vaginale, sentendo tutto l'acre sapore prodotto dalla mia figa. Ora l'anello splendeva come quando era sul bancone! I sei abusarono di me ancora per più di un'ora. A turno mi scoparono con grande ferocia e io sentivo i loro uccelli che mi procuravano colpi secchi e decisi, sbattendo con violenza sul fondo della mia patatina. Ebbi un orgasmo, che non seppi trattenere. Uno di loro mi dissse allora: "Guarda come gode la troia, le abbiamo fatto un favore a scoparla... non si è mai divertita così... deve essere in astinenza da parecchio tempo". Alla fine anche loro erano stremati da quel prolungato atto sessuale e mi infilarono un vibratore nelle figa e poi, con poca fatica, anche uno nel culo. "Visto che ti piace avere qualcosa dentro, andrai a casa così... con questi nostri regalii!", disse, ridendo, uno dei sei. Mi infilarono le mutandine e gli "hot pants", che stretti come erano impedivano l'uscita dei due vibratori e gettarono nel camino il mio giubbotto, le mie scarpe, i calzini, i resti del maglione e i pezzi di jeans tagliati. Mi misero la camicetta, che rimase sbottonata, priva come era di tutti i bottoni e mi diedero con le dita varie strizzate ai capezzoli. Uno di loro, non pago di quello che avevo subito, si divertì a prendere a schiaffi le mie tette, che si arrossarono in pochissimo tempo. Mi riportarono in macchina ai bordi del bosco, rivestita così in modo sommario. Ero scalza e la rigida temperatura mi faceva tremare in continuazione. A piedi nudi, tra rovi, sassi, arbusti e tronchi, arrivai alla strada asfaltata, dove chiesi aiuto agli automobilisti di passaggio. Uno di loro si impietosì, vedendomi in quelle condizioni, e si fermò. Venni accompagnata alla nostra casa di vacanza a Vercelli. Nel vedermi mio marito fu colto quasi da un colpo, ma non seppe mai che cosa mi era accaduto e perchè. A lui dissi di avere subito violenza sessuale da un gruppo di balordi. Non volevo che pensasse di avere una moglie ladra!

 

 

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